LUCIANO QUAGLIA

Luciano Quaglia

Nato a Resia nel 1949

Casato ǴUKATOW

Arrotino

La storia di Luciano

Mi chiamavo Luciano Quaglia, nacqui nel 1949 a Stolvizza di Resia, in una famiglia di arrotini.

Mio papà Odorico era arrotino, come pure i miei fratelli Giovanni ed Anselmo.

Appena terminato l’anno scolastico 1959/1960 per la prima volta uscii dalla Val Resia e dopo un breve viaggio in corriera, alla stazione di Carnia presi il treno per Senigallia (provincia di Ancona) con mio fratello Anselmo, di 4 anni più grande di me.
A Senigallia mio padre aveva appena costruito una casa, così, in breve tempo, tutta la famiglia emigrò nella cittadina marchigiana.
Durante le vacanze estive seguivo mio padre negli spostamenti che il mestiere di arrotino comportava, tornando a casa ogni fine settimana. Nel luglio del 1962 mio padre Odorico fece costruire per me una bicicletta, tutt’ora in esposizione al museo della vita contadina di Fagagna, appositamente attrezzata per svolgere il mestiere di arrotino. Questo indispensabile mezzo, che con tutti gli attrezzi pesava 70 Kg, era provvisto di tre freni poiché il territorio marchigiano è piuttosto collinoso, con discese lunghe e ripide. La bicicletta era molto alta – tenendo anche conto che avevo solo tredici anni – tanto che con i piedi non riuscivo a toccare a terra e per salirvi o scendere mi avvicinavo al marciapiede o al paracarro. Affiancai mio padre ancora per qualche mese con il fine di perfezionare la tecnica, ma poi decidemmo di separarci durante il giorno per ritrovarci la sera nella piazza del paese per poi andare insieme a dormire nella stalla o nel fienile di qualche contadino ospitale.

Il nostro metodo di lavoro consisteva nel gridare “arrotino” lungo le strade e affilando direttamente sul posto. Solo in caso di pioggia andavamo nelle case a chiedere personalmente il materiale da affilare, il lavoro poi veniva effettuato al riparo sotto i portici delle piazze, ed il materiale veniva  riconsegnato ai proprietari la sera. Nel 1963 decisi di allontanarmi ulteriormente dalla zona per lasciare spazio a mio padre e a mio fratello Giovanni che nel frattempo aveva aperto un negozio di affilatura e coltelleria in città. Mi spostai, sempre con la bici, verso Pesaro, Rimini e Ravenna, zone che frequentava già mio fratello Anselmo. Occasionalmente, mi trovavo anche con lui la sera per andare a dormire in camere affittate e condivise anche con altre persone. Durante questo periodo tornavo a casa in treno o in moto con mio fratello Anselmo, una volta al mese.
Un giorno, dalle parti di Rimini, mentre gridavo “arrotino” lungo una via, dal cancello di una casa uscì fuori un cane che mi morsicò alla gamba destra, lasciandomi una vistosa impronta di denti sul polpaccio, strappandomi i pantaloni e così per un paio di giorni feci fatica a lavorare.
Nel 1966 decisi di acquistare un ciclomotore della marca MOTOM, attrezzandolo per il mestiere, ma per affilare dovevo sempre pedalare. Da quel momento gli spostamenti si fecero più rapidi, permettendomi di coprire una zona più vasta e con un minor dispendio di energie. Durante l’estate mi spostavo preferibilmente lungo la costa romagnola, in quanto gli alberghi erano una fonte di lavoro piuttosto redditizia. Comprai successivamente un’auto (una Mini Minor), ma solo per tornare a casa a Senigallia o per visitare i parenti a Stolvizza. Nel mio lavoro ero molto meticoloso, in quanto volevo che venisse eseguito alla perfezione; non mi interessava il tempo da impiegare, l’importante era accontentare il cliente, anche nel prezzo onesto, infatti non ho mai avuto lamentele.
Nell’ottobre 1969 venni chiamato alle armi per 15 mesi. Alla fine della leva, nel 1971, comprai un’Ape arancione, 125 cc, attrezzandola con banco e con un motore a sé stante collegato a tre mole abrasive. Durante le ferie del 1973, rientrato nel mio paese natale, gli amici si Stolvizza mi convinsero a cambiare mestiere per poter così restare in zona. Da quel momento lavorai per alcuni mesi come autista di camion, per poi essere assunto come autista di autobus di linea.
In questo periodo spesso avevo delle ore di sosta alla stazione di Udine e per questo il compaesano Mario Negro, che aveva un negozietto di affilatura e coltelleria a Udine, mi chiese se potevo aiutarlo ad affilare le forbici e i coltelli che gli portavano i clienti nel suo negozio, in quanto lui aveva  alcuni problemi di salute. Andai così ad aiutarlo, facendo del mio meglio, fino a quando il suo figlio maggiore non fu in grado di occuparsi  autonomamente di tutto il lavoro del negozio. 
Nel 1976 mi sposai con Claudia e poco tempo dopo nacque la mia primogenita, Elisa. In seguito al sisma che nello stesso anno scosse il Friuli, andammo a vivere in uno dei prefabbricati allestiti nella 1^ Ladina a Stolvizza. Nel 1978 la famiglia si allargò e nacque Anselmo e così, con gli spazi diventati un po’ stretti, nel 1979 decidemmo di comprare un appartamento a Fagagna, paese natale di mia moglie, dove ci trasferimmo nel 1980. Con questo trasferimento mi vidi costretto a licenziarmi dalla ditta di autocorriere per cui lavoravo (SAR), per riprendere il mestiere di arrotino che svolsi per più di un anno. Nel 1981 nacque Sara e, proprio nel giorno della sua nascita, dopo aver passato la notte in bianco all’ospedale, feci il colloquio e la prova pratica per essere assunto  nuovamente come autista di corriere.  Così, qualche mese dopo, all’inizio del 1982, ottenni il mio nuovo lavoro, mestiere che svolsi ininterrottamente, anche se sotto diverse proprietà (PUPIN, SAITA, SAF), fino alla meritata pensione.
Nel mio tempo libero continuai a coltivare l’arte dell’affilatura. Attrezzai il mio garage con tutto il necessario e così se qualche amico, qualche vicino o qualche parente mi chiedeva di affilare qualche coltello o di aggiustare qualche ombrello, lo facevo sempre molto volentieri. La voce del mio hobby si diffuse ben presto a Fagagna ma anche al di fuori del paese e, più di qualche volta, mi ritrovai ad affilare coltelli provenienti dalla Svizzera, dalla Germania, dalla Spagna, dalla Francia e persino dall’America, portati da qualche emigrante che d’estate ritornava per fare visita ai parenti. Un anno venne da me anche un missionario saveriano Fagagnese che operava in Africa, e voleva che gli insegnassi come affilare le forbici, in quanto nella sua terra di missione l’arrotino non esisteva e imparare un po’ il mestiere poteva tornargli utile.
Per molti anni ho anche partecipato come volontario all’attività del museo della vita contadina di Fagagna (Cjase Cocjel) dove, in occasione di alcune manifestazioni, affiancato anche da altri arrotini della Val Resia, facevo dimostrazioni di affilatura su bicicletta.
Il mio tempo è finito, il mestiere di arrotino e ombrellaio, seppur faticoso, è stato da sempre la mia passione, prima come lavoro e poi come hobby, ed ho sempre cercato di mettere tutta la mia professionalità, la mia abilità, la mia esperienza e la mia passione in ogni filo di lama reso tagliente o in ogni pippiolino d’ombrello aggiustato.
Con orgoglio sono stato socio fondatore del CAMA ed insieme agli altri 7  soci fondatori sono stato attivo promotore della realizzazione del Monumento dedicato all’Arrotino e collocato all’inizio del piccolo, ma per me speciale, paese di Stolvizza.
A questo monumento e a tutti noi è affidata la responsabilità di mantenere vivo il ricordo, sia di questo antico, faticoso, affascinante e ricco di soddisfazioni mestiere che ora sta un po’ scomparendo, sia di tutte le persone che, partendo dalla Val Resia, affrontando mille difficoltà, lo hanno praticato in paesi vicini e lontani, che hanno percorso chilometri e chilometri, a piedi, in bicicletta o con mezzi a motore, per fare in modo che non ci fosse casa senza coltelli taglienti, forbici performanti e ombrelli pronti a fare il loro dovere.

Luciano Quaglia

Terzo a destra in piedi

Luciano Quaglia

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